Mike Powell da 31 anni sul tetto del mondo

Nel 1991, trentadue anni fa, il power ranking dei migliori saltatori in lungo d’America vedeva al primo posto Carl Lewis, secondo con ampio merito era Mike Powell. Il “figlio del vento” proveniva da 64 gare consecutive negli ultimi 10 anni. Il primo scontro tra i due competitors nel luglio ’91, Lewis è alla sua prima competizione stagionale. Ha quasi trent’anni e da dieci domina velocità e lungo, ma deve iniziare a contrattare gli impegni col suo fisico. I campionati nazionali rientrano nell’accordo: Powell conduce dopo essere atterrato a 8.63 dalla pedana, ma all’ultimo salto Lewis stampa 8.64. Sessantacinquesima vittoria di fila, prossima fermata: Tokyo, 30 agosto, campionati mondiali.

In Giappone Lewis ci arriva da bicampione olimpico della disciplina, ma soprattutto da uomo incaricato dalla storia a battere il record di Beamon. Un primato che molti avevano definito “il salto nel futuro”, ma le caratteristiche tecniche del balzo del secolo. 8.90 m di lunghezza, 2.292 metri sul livello del mare, +2.0 m/s di vento alle spalle, il massimo consentito. Una prestazione prodigiosa, ma notevolmente aiutata dalle condizioni climatiche. Per 14 anni, nessuno riuscirà ad avvicinarsi a meno di 20 centimetri da quella misura. Il primo a farlo è ovviamente Lewis, 8.76 nel 1982. Tra il ’68 e il ’91 solo tre atleti riescono a volare oltre gli 8.70, per un totale di nove volte. Una volta ci riesce il russo Robert Emmijan con uno sbalorditivo 8.86), due volte lo statunitense Larry Myricks (l’ultimo uomo capace di battere Lewis, sino al 1991). E Carl Lewis stesso ovviamente, sei (sei!) volte. Soltanto lui può andare oltre Beamon.

Nella capitale giapponese l’aria è elettrica, l’umidità è soffocante e un forte vento spira nella direzione di rincorsa sulla pedana del salto in lungo. È una spinta che rischia di sbilanciare gli equilibri raggiunti in tante sedute di allenamento alla ricerca della rincorsa perfetta per infilare lo stacco al limite della plastilina con la massima velocità possibile. Ma anche un’opportunità troppo grande che, evitato il nullo, può portare tanto lontano, come era successo 23 anni prima a Città del Messico.

Le qualificazioni hanno regalato già un primo verdetto a favore degli americani, Emmijan, che tre anni prima aveva avvicinato con 8,86 il primato del lungo, è fuori dalla finale per un centimetro.

Lewis è in finale con la misura di 8.56, 35 centimetri meglio di Powell, che ottiene un 8.19, saltato al primo di qualificazione. Tra l’altro, cinque giorni prima della finale ferma il cronometro nei 100 metri a 9”86, prendendosi campionati e record del mondo. All’alba dei trent’anni, con sei medaglie d’oro olimpiche e altrettante mondiali in bacheca (più l’ultima ancora al collo), Carl Lewis è ancora il miglior atleta che l’Alabama, gli Stati Uniti e il mondo intero possano offrire.

Powell è cosciente della levatura del proprio competitor, ma sa anche qualcosa che nessuno può intuire. Sta bene, probabilmente non farà il record del mondo, però è molto veloce, eppure la troppa pressione, la troppa voglia gli fa fare un banale 7,85 al primo balzo di finale.

Lewis, invece, è enigmatico, guarda la buca, lì giù, come volesse esorcizzare il risultato e volare oltre la sabbia. Parte, corre veloce, stacca e atterra a 8.68. Record dei campionati del mondo e miglior prestazione mondiale dell’anno, al primo salto della finale.

Powell al secondo tentativo è energico, ma scomposto. In aria, mulinando quattro passi. Si vede che è soddisfatto.  E quando il tabellone si illumina e mostra 8.54, Powell acquista coraggio, può andare ancora più lontano, anche se non ci riesce al terzo, 8.29. Lewis, nel frattempo, fa nullo ma è un nullo da quasi 9,00. Sorride, compiaciuto di una gamba che sembra quella delle grandi occasioni.

Pochi minuti dopo. Lewis parte, con una rincorsa plastica, solida ma elastica velocissimo: atterra, guarda velocemente il segno, poi la tribuna. Attenzione: è un grande salto. Anche se con + 2,3 m/s: è uno strepitoso 8.83. Beamon è ancora distante, ma mai come questa sera sembra alla portata. Nel frattempo, da tredici finalisti si passa a otto, che avranno a disposizione altri tre tentativi.

A Powell ne può bastare uno. Il primo è lunghissimo sembra sopra gli 8.80. Si guarda dietro, e vede la bandierina rossa, il salto è nullo. Si dispera e pensa a quanto ha perso. Anche se c’era un alito di vento oltre il consentito, ma si inginocchia per imprecare contro se stesso e la sfortuna. Lewis non ci dà grande peso alla scena. Si concentra, si estranea e al quarto tentativo vola verso la distanza più lunga mai saltata da un uomo: 8 metri e 91. Però, non è record del mondo. Il vento era +2.9 m/s.

Finalmente un centimetro oltre Beamon. Formalmente il record non è caduto, ma in questo istante sembra non importare a nessuno, tantomeno a lui. Tutto lo Stadio Olimpico di Tokyo è felice, tutti sono entusiasti, tranne uno. Mike Powell. È ora di alzarsi e andare a fare a pugni con quel semidio a un passo dalla beatificazione. Già dai giorni prima sapeva di dover battere il record del mondo per vincere quella finale, adesso è ufficiale. Accelera, stacca. Quattro calci al cielo, poi diritto giù nella sabbia. Si rialza chiamando l’entusiasmo della folla, teso, rabbioso. Primo profezia: bandiera bianca, Secondo vaticinio: +0.3 m/s di vento. Gli occhi fissi sul tabellone. Gli occhi di tutto il mondo. Anche quelli di Beamon.

Terzo responso: otto metri e novantacinque. «World record». Bob Beamon è battuto.

E Lewis? Fa un capolavoro al quinto ma è 8.87, miglior salto con vento legale in carriera, il terzo miglior balzo della storia. Ha saltato 8.91 e 8.87 in sequenza – prima ancora 8.83. Eppure è secondo.

Al sesto 8.84, Lewis ha completato quella che è stata la più grande serie di salto in lungo nella storia dell’atletica. Un salto nella notte di Tokyo, come uno step del triplo proietta però un altro uomo di là nella storia Mike Powell, che a fine gara, dichiara: «Non so se Carl saprà batterlo, ma stanotte sono io il detentore del record del mondo».

Oggi a distanza di 31 anni ancora è lì, Powell: sul tetto del mondo