Immagini fioche, atmosfere rarefatte, l’astrattezza aleggia album dopo album, nell’universo sonoro di Anna Michaela Ebba Electra Von Hausswolff. Definita dalla critica una delle realtà più profonde, intransigenti e affascinanti emerse in questi ultimi anni in Scandinavia, l’artista di Göteborg, anno 1986, con il suo debutto ufficiale il 5 febbraio 2010, dimostra da subito di incarnare il cantautorato ideale per atmosfere estetico-simboliche invernali certamente non scontate. Il cuore pulsante delle sue composizioni è l’organo a canne, strumento da sempre associato al sacrale, oltre che all’immaginario oscuro e misterioso e, perché no, ai racconti folkloristici dei paesi nordici. Von Hausswolff è un portento come compositrice, così come pianista: cenni letterari, virate classiciste; ma l’inevitabile “pesantezza” e intensità dei suoi pezzi più corposi non titillano l’ascoltatore ad illusioni e spinte verso il macabro, quanto “aprono” ad una dimensione in cui tutti i nostri ideali e valori politici diventano inutili, di fronte alla natura effimera dell’esperienza terrena. Uno scopo salvifico, volendo, se si considera la politica internazionale degli ultimi anni, come inneggiante alla morte e al massacro.

L’isola dei morti di Arnold Böcklin

Condensando 48 minuti di musica in cinque brani titanici, l’album Dead Magic, è il suo lavoro più dirompente. Realizzato in soli nove giorni nella Chiesa di Frederiks di Copenaghen, assieme a Randall Dunn e alla sua band, il lavoro è sintomatologia di epopee a più episodi, sottoforma di ballate per organo, voce, archi, marce folk. Baldanzoso è, tra tutti, il brano “Ugly And Vengeful” il quale sembra accompagnare il lungo risveglio di una creatura mitologica in perfetto linguaggio metal. A completamento ulteriore, le parole del poeta Walter Ljungquist che Von Hausswolff cita nelle note di presentazione dell’album:

Take the fate of a human being, a thin pathetic line that contours and encircles an infinite and unknown silence. It is in this very silence, in an only imagined and unknown centre, that legends are born. Alas! That is why there are no legends in our time. Our time is a time deprived of silence and secrets; in their absence no legends can grow. (Prendi il destino di un essere umano, una sottile linea patetica che contorna e circonda un silenzio infinito e sconosciuto. È proprio in questo silenzio, in un centro solo immaginato e sconosciuto, che nascono le leggende. Ahimè! Ecco perché non ci sono leggende ai nostri tempi. Il nostro tempo è un tempo privo di silenzi e di segreti; in loro assenza nessuna leggenda può crescere).
Sono pesante come una pietra – canta Anna: mai pesantezza fu più gradita.

di Michela Castelluccio