La Francia in fiamme è un film già visto
Guardando le immagini di una Francia con auto in fiamme, edifici presi d’assalto, barricate per le strade, arresti e scontri feroci con la polizia, mi assale un ricordo: eravamo dei giovani studenti, molto svogliati, con Jim Morrison a palla in un mangianastri che ogni tanto si incagliava, e con una videocassetta tra le mani. Sulla custodia era impressa l’immagine cattiva, arrabbiata, sprezzante di Vincent Cassel, che ci guardava con aria di sfida. Il titolo del film del 1995, magistralmente girato in bianco e nero da Kassovitz, era “L’Odio”.
Avevo 17 anni, tanto rancore nel cuore e una voglia disperata di gridare al mondo tutta l’ingiustizia ingoiata senza che gli adulti mi ascoltassero. Ero un riottoso come Vinz e come Vinz sognavo di sfogare tutta la mia frustrazione contro l’autorità costituita. Non riconoscevo nelle istituzioni un punto di riferimento. Anzi, per me la scuola era uno strumento di coercizione. Odiavo, appunto, chi mi imponeva delle regole incomprensibili e cercava ad ogni costo di piegare la mia libertà, facendomi sentire un reietto, un dannato, un perduto. “L’Odio” mi rappresentava, come mi rappresentavano quei ragazzi ribelli, ostili verso la divisa, pronti a picchiarsi per futili motivi.
“L’Odio” cominciava con una sequenza di immagini di una protesta in una banlieue parigina: auto bruciate, cariche della polizia, giovani mascherati, saccheggi e assalti ai commissariati. Come sottofondo Bob Marley, altro mito dei miei tempi. La sommossa fu generata, manco a dirlo, da un pestaggio di un ragazzo ad un controllo della polizia. I dialoghi riproducevano il malessere della periferia abitata da figli di immigrati cresciuti nella violenza e rigorosamente inclini alle leggi della strada. Un esercito di giovani lasciati alla mercé di spacciatori, delinquenti di ogni risma, in cui la componente reazionaria dell’islamismo, defilata, si mostrava con le sue sfaccettature culturali, le sue increspature ideologiche, i suoi costumi tradizionali. E il rancore verso una Parigi distante, la capitale dei francesi, quelli di serie A, si acuiva fino a degenerare nell’affronto, nel corpo a corpo, nel disprezzo. La Parigi sfavillante considerava l’arabo, il nero e il bianco che li accompagnava, degli scarti della società, sanguisughe da cancellare, approfittatori da reprimere. La polizia sopprimeva e raramente accoglieva la rabbia, tentando di salvare anime perdute nei sobborghi di una nazione distante, di una politica distratta, di una comunità balcanizzata e dilaniata. Il racconto si inoltrava nel giorno successivo la furente protesta e si spingeva nelle viscere di una Francia ferita, senza fare sconti, senza giudicare i carnefici e le vittime, senza lasciare un filo di speranza.
La Francia di oggi è raccontata ne “L’Odio”, icasticamente immortalata negli occhi di tre ragazzi abbandonati al loro destino, con un futuro senza prospettive e imprigionato sino all’alba del giorno seguente. La Francia di Nahel, ucciso da un poliziotto, è la stessa di Vinz: un viaggio con un biglietto di sola andata, senza un ritorno per chi non ha i piedi buoni per giocare nella nazionale!