Era il 23 settembre 2011 quando, il vate della musica colta e senza tempo, donava ai ricordi e all’anima di fortunati udenti un meraviglioso concerto al Parco del Castello Tramontano di Matera. La performance, inserita nella programmazione della prima edizione di Materadio, festa di Rai Radio 3, organizzata dalla Fondazione Matera Basilicata 2019 per sostenere la candidatura a Capitale europea della Cultura, è stata l’ultima esibizione di Franco Battiato nella nostra Terra, ma ha segnato anche il lungo viaggio verso la prestigiosa designazione europea di Matera. L’artista ha indubbiamente influenzato (come sostiene in un bellissimo articolo Giuseppe Del Ninno) anche chi non poteva (o non voleva) comprenderlo, oggi e soltanto oggi, chi scrive, a cadavere freddo, lo sente vicino come non mai. La Sua dannazione, infatti, era stata quella comune a tanti romantici e illusi dalla politica, che sicuramente potrebbero attingere senza ritegno da queste Sue parole : “Avevo in mente un’idea di destra davvero troppo nobile e rarefatta, la ricollegavo alle sue radici che affondano nel sanscrito e nel sacro, e facevo un salto mortale all’indietro, come se non si fossero succedute nei secoli categorie diverse e storicamente contraddittorie di ‘destre’, molte delle quali imperniate proprio sull’homo oeconomicus”. Quindi “Battiato ha sì un passato ‘di destra’, ma poi si è ravveduto ed è diventato ‘de sinistra’, o meglio, anarchico”. Ma scevri da commenti di parte e “appropriazioni indebite”… immergiamoci nell’opera summa di Battiato: la musica che, dopo i primordi, caratterizzati da un sound sperimentale e “progressive”, rinunciando volontariamente alla forma della canzone, si dirigeva, tra corsi, ricorsi, citazioni e contaminazioni , invece e appunto in proseguo di tempo, verso la canzone d’autore e al pop: generi che ha frequento con cultura e raffinatezza stilistica, caratteristiche e doti che lo avevano sempre contraddistinto, generi che ha contaminato con la musica colta e quella etnica, come ne “L’era del cinghiale bianco” (1979); con i nuovi stili come in “Patriots” (1980), album che anticipa le sonorità new wave, proprie di tutto il decennio successivo; addirittura con il punk che unito alla new wave giganteggiano ne “La voce del Padrone” (1981); con la musica orchestrale in “Mondi Lontanissimi” (1985); con la musica orchestrale ribadita e ampliata nell’orientaleggiante e mistico “Fisiognomica”, in cui eccelle con “melodie ricercatissime e per niente mirate al facile ascolto”, così come in alcune opere liriche inaugurate con “Genesi” (1987).Il “viaggio esplorativo” dagli anni novanta, inoltre, si accentua verso nuove direzioni. Infatti, in “Caffè de la Paix” (1993) approda nella world music, sperimentando arrangiamenti esotici con strumenti della tradizione indiana, pakistana, filippina: il sarod, il tabla e il tampura. Dal 1995 la collaborazione con il filosofo Sgalambro, curatore dei testi, lo libera da quell’incombenza e gli permette di inventare, ricercando musicalmente altre strade e, così, di provare il rock ne “L’imboscata” (1996) e “Gommalacca” (1998), l’ultimo più prossimo al ‘drum and bass’ molto in voga nella seconda metà degli anni ’90 e inserendo le chitarre elettriche, che troviamo anche su “Ferro Battuto” (2001). La musica orientale torna invece ne “Dieci stratagemmi” (2004). La sua musica, quindi, è stata sempre una continua ricerca che lo ha fatto viaggiare tra generi, strumenti e testi spesso sofferenti e pieni di rimbrotti alla società dei consumi, alla classe politica italiana, e densi di filosofia, esoterismo e misticismo. Il Maestro un anno fa ha intrapreso il suo ultimo viaggio e, forse, ha già trovato finalmente le risposte tanto ricercate e desiderate.
Un viaggio nella musica colta
