Dopo il tentato golpe è difficile comprendere la forza dello Zar

“Paese che vai, usanze che trovi” recita un vecchio adagio. Non saprei come definire gli ultimi giorni vissuti in Russia, perché noi occidentali consideriamo “Colpo di Stato” una città occupata con i blindati e una colonna di carrarmati in marcia verso una capitale. Invece in Russia la chiamano manifestazione di protesta, un poco come quella della CGIL a Roma dei giorni scorsi.

Prigozhin, il macellaio di Aleppo più che il cuoco di Putin, chiama “protesta contro lo Stato Maggiore russo per la conduzione della guerra in Ucraina” una rivolta armata. Ed essendo permaloso, ha comandato ai suoi uomini di puntare sulla capitale, perché non voleva che il vituperato Stato Maggiore assorbisse la sua milizia nei ranghi dell’esercito, come sarebbe accaduto il primo luglio: questo è il motivo principale dello sciopero generale.

Il guru di Wagner, frustrato e deluso perché disprezzato e trattato come un appestato, ha deciso di evidenziare tutte le falle difensive della federazione russa. Certo, se pensiamo a Napoleone e alla Wehrmacht, la sua passeggiata, destinazione Cremlino, è stata una sgambettata di salute con solo qualche incursione aerea liquidata con un paio di missili. L’asserragliamento di Mosca, con i pretoriani di Putin votati alla morte per lo Zar, era un comitato di benvenuto rispetto alla strenua resistenza dell’Armata di Stalin che fermò i nazisti prima di intravvedere la Piazza Rossa. Solo il fedele Kadyrov, pronto a riprendersi Rostov in nome della grande madre Russia, ha mobilitato i suoi ceceni, mentre pare che il grosso dell’esercito non si sia frapposto tra i mercenari e il Nicola II redivivo. Perché così si è definito Vladimir Putin e ha riportato l’orologio della storia al 1917. Prigozhin non ha nulla di Lenin né ideologicamente, né come prospettiva rivoluzionaria. Ma soprattutto, stando alle ultime ricostruzioni, nessuno al mondo avrebbe voluto un pazzo sanguinario al posto di Putin. Attenzione, non che l’attuale Presidente sia un sant’uomo, ma probabilmente non pigerà quel pulsantino rosso con su scritto “fine del mondo”.

Gli stessi americani si sono tenuti alla larga dalla questione e gli ucraini hanno solo evidenziato i problemi interni al cerchio magico di Putin. Non una parola in favore di Prigozhin, non una parola di incoraggiamento alla sua milizia. Ma perché Prigozhin ha avuto la forza di sfidare Putin, di condurlo a trattativa attraverso Il presidente della Bielorussia Lukashenko e, soprattutto, perché è ancora vivo? Le risposte le potremmo ritrovare nel Sudan, nella Repubblica Centraficana e in tutte quelle zone calde del pianeta in cui gli interessi dello Zar sono garantiti dalla Wagner. Intanto Putin ha fatto sequestrare a Prigozhin il tesoro stipato a San Pietroburgo e le accuse pendenti sul suo capo non sono ancora cadute.

Dopo questa storia surreale, che ha tenuto col fiato sospeso tutto il globo terracqueo, cosa ci riserverà il futuro? Non facciamo pronostici, non ci conviene: la Russia bisogna viverla intensamente e respirare una cultura che non ha conosciuto la democrazia. Da occidentali non capiremo mai le logiche che muovono determinati poteri e le reazioni della popolazione. Forse questa volta abbiamo imparato la lezione: se non comprendiamo gli eventi, non ci intromettiamo, complicheremmo la situazione e saremmo odiati dai russi, come se non fossimo già odiati abbastanza, regalando a Putin un pretesto su cui costruire la sua propaganda.

Giovanni Petilli