Il 17 e 18 giugno nell’incantevole cornice del Parco dei Colori di Castelgrande (PZ) si è tenuta la prima edizione del Festival del Sole in cui si è respirata la libertà di sentirsi parte della natura.
A Castelgrande “i portatori di luce” illuminano l’estate, perseverando in una missione che ha dello spirituale. L’Associazione INTI – che nell’idioma Quechua si traduce, appunto, in “Portatori di Luce” – il 17 e 18 Giugno, ha messo in piedi un grande spettacolo dedicato al rapporto tra uomo e natura: protagonista l’incantevole cornice del Parco dei Colori intitolato all’illustre botanico castelgrandese Guglielmo Gasparrini.
Due giorni di “Festival del Sole” dedicati alla conoscenza, alla sostenibilità ambientale, al rapporto con l’altro, alla tradizione. Due giorni in cui grandi e piccini si sono immersi in uno scenario suggestivo in cui natura, farfalle, buona musica, tradizioni e cultura locale hanno generato un’alchimia quasi mistica, latitante in una
società antropizzata all’eccesso e assoggettata ad un consumismo compulsivo.
La semplicità nell’accompagnare il magico percorso della metamorfosi delle farfalle ha suscitato nello sguardo dei visitatori quell’euforia innocente, spesso perduta nelle pieghe di una quotidianità frustrante e condita da molta distrazione e superficialità. Ha rallegrato la tenerezza dei bambini incuriositi dai laboratori messi in atto, entusiasti nello scoprire la prosperità della terra, benevola nel regalare i suoi frutti, propensa a dipingere il paesaggio con le sue bellezze.
L’obiettivo dell’associazione INTI è proprio quello di riportare i bambini in mezzo al verde, di rieducarli al dialogo con la natura, un conversare a più voci che si traduce in cultura.
La cultura dell’accoglienza e dello scambio ha inondato il Parco Botanico, con la foresteria adibita ad ospitare esperienze e sensibilità di volontari provenienti da diverse parti del Mondo, di cui ultimo il Professor Edwin Carrasquillo Coriano docente della Pontificia Universidad Catolica di Porto Rico. La cultura del canto e delle danze ha narrato dei lucani, della strenua caparbietà nel combattere i mostri che vorrebbero divorare la loro forza, rendendoli inermi, arrendevoli, sconfitti.
La cultura delle tradizioni, dei prodotti e dei suoi sapori esposte nei mercatini come si faceva una volta.
La cultura dell’arte della tessitura in grado di rammendare distanze infinite e ricordare chi eravamo e quanta bontà sgorgava dai nostri cuori.
E allora abbiamo ascoltato la lucanità di Chiara D’Auria che ha ululato alla luna in titese, abbiamo ballato sulle intense note sprigionate da Antonio Nicola Bruno che insieme al suo trio ha fatto vibrare la notte, ci siamo immersi nel ritmo contaminato degli Apache e degli Anagrama, perché la musica non conosce confini, supera steccati, uccide le intolleranze.
E abbiamo volteggiato in un rito ancestrale in cui l’uomo e la natura si mescolavano nei colori del tramonto e della notte: una danza sinuosa diretta da Martina Paterna e una mostra fotografica in cui la lucana Teresa Rado ha catturato attimi di profonda poesia e bellezza.
E la domenica le farfalle autoctone si sono liberate in un riverberare di luci, in uno squillante vociare di volti sereni, di occhi rapiti, di menti finalmente libere e rilassate. La libertà di sentirsi parte del tutto, di vivere senza inutili pregiudizi, di immergersi in un mondo in cui non si insegue ma si contempla. E i raggi che annunciano il ritorno della bella stagione, trafiggendo con la loro abbacinante intensità la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e il maestoso Monolite di Castelgrande, ci ricordano la nostra umanità e profonda spiritualità: forse questa è la lezione che dovremmo apprendere da un festival da riproporre coraggiosamente.
Giovanni Petilli