Il Presidente del Consiglio con Von der Leyen e Rutte in Tunisia: Saied non cede, ma si continua a discutere
Si ripercorre un copione già letto decine di volte a Cartagine, dove il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si gioca gran parte della sua credibilità internazionale. Il Presidente Kais Saied è deciso a non perdere la partita della vita e non intende cedere alle pressioni europee e soprattutto americane. Perché il dossier più cocente sul tavolo non è la questione migratoria, ma la crisi economica che rischia di mandare in default la Tunisia, un Paese divorato dall’inflazione e sommerso dai debiti.
Meloni si è presentata al summit con il Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e il falco olandese Mark Rutte. Vero tema il finanziamento del Fondo Monetario Internazionale che Saied dichiara di voler respingere in quanto troppo oneroso. L’FMI chiede riforme che sbriciolerebbero il potere del dittatore (perché di un dittatore stiamo parlando) e soprattutto pretende di entrare nei gangli del vero potere: le aziende pubbliche tunisine maxi indebitate e, nonostante ciò, intoccabili.
Da Washington fanno sapere che non ci sono spazi per trattare se la Tunisia non accetta le condizioni imposte dall’FMI e intanto Fitch abbassa il rating da CCC+ a CCC- e Tajani incontra Blinken per trovare una soluzione condivisa. Meloni, Von del Leyen e Rutte arrivano a Cartagine con un miliardo di euro di cui 900milioni per ridare ossigeno alle casse asfittiche e 100 milioni per il controllo delle frontiere, ma non basta.
Saied – colui che osò millantare un piano fantomatico ai danni della nazione per soppiantare i tunisini a favore delle popolazioni subsahariane, colui che ha soffiato sul fuoco dell’intolleranza, colui che ha soppresso le minoranze nel Paese, ha cambiato la Costituzione, ha sciolto il parlamento legittimamente eletto e ha tacitato la magistratura – oggi veste i panni del novello Gandhi e dichiara che non farà la guardia di frontiera dell’Europa, condannando i centri di detenzione.
Ma la patata bollente è ancora a Palazzo Chigi e da quelle parti la situazione è presa seriamente: se la Tunisia crolla si apre un altro fronte migratorio e se il caos prendesse il sopravvento, l’Italia (e di conseguenza l’Europa) verrebbe travolta da un’ondata migratoria senza precedenti e addio al “Piano Mattei” e a tutti i rapporti di partenariato commerciale.
Ma, permettetemi, con Gheddafi e Mubarak non abbiamo imparato nulla: destabilizzare il Nord Africa ha generato solo disastri. La Primavera Araba si è frantumata in Libia, ha portato al potere un altro tiranno in Egitto e ha provocato una guerra fratricida in Siria, rinvigorendo Turchia e Russia sullo scacchiere geopolitico. Chi ricorda Zine El-Abidine Ben Ali? Saied non è da meno, ma tanto vale non mandare tutto in malora: questo dovrebbe dire l’Europa agli Stati Uniti, e anche senza peli sulla lingua!
Giovanni Petilli