Si sa, difficile immaginare i weekend senza qualche bel film da guardare in totale relax. Attesissime saranno pellicole a tema, veri e propri evergreen della stagione, intramontabili per qualunque età, nonostante il déjà-vu. In controcanto, per gli amanti di scenari diversi e di lavori inediti, altrettanto belli oltre che interessanti, proponiamo di sperimentare tra le visioni nuove e di qualità, alcune ben scritte, ben girate, ben recitate. Ecco, dunque, i nostri palmarès, scelti per voi:
1 – Shoplifters, di Hirokazu Kore’da. Uno di quei rari casi in cui la Palma d’oro la vince anche il film più bello del concorso: una famiglia di poveracci tira a campare tra lavori ingrati e piccoli furti ai negozi, accogliendo al suo interno la piccola Yuri, abbandonata da una madre indegna. Kore’da, attraverso il suo tema preferito, porta il suo stile di scrittura e regia a un grado di finezza altissimo, capace di raccontare con semplicità, onestà, emotività. Economia espressiva e densità concettuale sotto forma di un racconto commovente.
2 – Blackkklansman, di Spike Lee. Blackkklansman inizia con una scena di “Via col vento” e finisce con le immagini degli scontri a Charlottesville, al centro la storia “fo real, fo’ real sh*t” di Ron Stallworth, poliziotto afroamericano che negli anni ‘70 riuscì a infiltrarsi nel Ku Klux Klan. Arrabbiato come un tempo, il regista decide di giocare con gli stilemi della blaxploitation per tracciare il percorso che ha condotto l’America da nascita di una nazione a Trump. Tra umorismo caustico, qualche didascalismo e grande capacità di intrattenere facendo cinema militante, Lee fa’ di nuovo la cosa giusta.
3 – Cold War, di Pawel Pawlikowski. L’autore di Ida racconta, trasfigurandola, la storia dei propri genitori e in particolare della madre, partita dai gulag dell’ex-Unione sovietica e arrivata nell’Europa degli anni ‘60. Un film ricchissimo di amore, dolore passione, musica, follia e disperazione, romanticismo e storia: una sorta di classico istantaneo in cui il rigore formale del regista si apre all’emotività e alla potente espressività dei suoi due protagonisti, soldati di una guerra sentimentale che non fa prigionieri.
4 – Burning, di Lee Chang-Dong. Più che l’adattamento di un racconto di Mukarami, Burning è un thriller con echi faulkneriani in linea con la filosofia del suo protagonista (“Per me il mondo è un mistero”). Inafferrabile ed enigmatica, la storia di questo ragazzo che si offre come cat sitter ad una vecchia conoscenza che svanisce nel nulla, si presta a diverse letture:indagine sull’abisso dell’ossessione amorosa? Analisi del rapporto tra le classi sociali sudcoreane? Riflessione sull’illusorietà dell’immagine? La risposta brucia nel vento.
5 – Under the Silver Lake, di David Robert Mitchell. Ancora un mistero, ancora un ragazzo sulle tracce di una ragazza scomparsa: è questo un film che sembra quasi il controcanto nevrotico di Burning. Entrambi mettono in scena lo smarrimento esistenziale della gioventù contemporanea, ripiegata su se stessa e incapace di reagire, alla ricerca di avventure solo per dare un senso alla propria vita. Ma il regista, Mitchell, alla sottrazione preferisce l’accumulo e si perde per le vie di una Los Angeles da neo-noir, per decifrare quella grande illusione chiamata pop culture.
6 – Leto, di Kirill Serebrennikov. L’odissea del rock sovietico a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, tra repressione comunista e le prime aperture: la politica è però di sottofondo, perché il regista s’interessa alla vitalità creativa di un
gruppo di giovani che scopre un mondo vicino e lontano, personaggi ritratti con affetto, raccontandone la tenerezza, il bisogno di amore e musica, l’ingenuità con cui copiano e reinventano i loro modelli. Un film appassionante e anche un modo per conoscere un mondo culturale poco frequentato.
– di Michela Castelluccio