Un popolo, un Impero, un Sultano.
In Turchia ha vinto Erdogan e il sultano si appresta a coronare il suo quarto di secolo di potere tra premierato e presidenza. Più volte ha rivendicato la grandezza del suo popolo erede di uno dei più longevi imperi che il mondo abbia conosciuto, quello ottomano. Un Impero che ha visto la sua gloria grazie ad un conquistatore formidabile colpevolmente poco studiato dai nostri ragazzi: Maometto II. Il Sultano nel 1453 decretò ufficialmente la fine dell’Impero Romano d’Oriente ultimo avamposto di quella che fu la maestosità di Roma, la capitale dei Cesari. La presa di Costantinopoli, insieme alla scoperta delle Americhe, segnò il passaggio dal medioevo al rinascimento e portò dei significativi sconvolgimenti politici e militari.
Istanbul vota il cambiamento, qualunque esso sia.
E proprio Istanbul, la città in cui Erdogan ha cominciato a percorrere i primi metri di strada verso il potere, ha votato l’alternativa, la speranza e il cambiamento, qualunque esso sia. C’è chi ha alzato il polverone dei brogli elettorali e chi ha accusato Erdogan di essere un tiranno. Ma il dato più eclatante lo ritroviamo nell’aver costretto l’uomo più potente della Turchia al ballottaggio e ciò vuol dire che un’anima che guarda ad occidente esiste e non si rassegna.
Erdogan e Ataturk
Erdogan non ha il profilo di Ataturk, il padre della nazione, un laico a servizio della patria. Erdogan è altra pasta, si è fatto le ossa nelle scuole islamiche, ha dissimulato per lungo tempo e con grande fatica la sua visione di uno Stato religioso e rispettoso dei precetti di Allah, ed è uscito vivo da un Colpo di Stato: i più maligni insinuano che sia stato salvato da una soffiata dei servizi segreti russi. Il vero volto del sultano Erdogan lo abbiamo visto proprio dopo quel fallito golpe a cominciare dai simboli: Santa Sofia è stata la prima celebre vittima. Ha represso i diritti delle minoranze etniche, taglieggiato l’Europa, invaso la Libia, incarcerato gli oppositori, massacrato i curdi, calpestato i diritti civili. L’Occidente, stanco, non ha saputo replicare se non con qualche reprimenda verbale.
Non è oro tutto quello che luccica
Oggi la Turchia sembra un gigante dai piedi d’argilla: un’inflazione galoppante e la moneta svalutata aggrediscono senza tregua la popolazione più vulnerabile. La catastrofe del terremoto acuisce una crisi prepotente, crea più diseguaglianze, porta ad una contrapposizione tra la popolazione autoctona e i profughi siriani, contro i quali si è scatenata una propaganda feroce. E sono in pochi dalle nostre parti quelli che comprendono in quale condizione versa la balcanizzata opposizione, non in grado di prospettare un futuro differente, più democratico e soprattutto non autocratico.
E noi occidentali?
Noi occidentali dovremmo osservare con attenzione le vicende turche: quella concezione di libertà potrebbe essere un modello culturale per molti nostri politici ambiziosi e spregiudicati. Un modello culturale simile significherebbe dissolvere nel nulla secoli di storia e lotte fratricide per ottenere uno Stato di diritto compiuto. E da democrazia a democratura il passo è breve!
Giovanni Petilli