Nuovi crolli delle quotazioni, mentre salgono i costi di produzione. Senza interventi, aziende costrette ad
abbandonare la produzione. È questo il riassunto dell’allarme lanciato da Cia Basilicata che ha sottolineato
come stia crescendo la preoccupazione degli agricoltori per i continui cali di listino del grano duro nelle
diverse Borse Merci. «Non è possibile continuare a produrre con costi alle stele e prezzi di mercato che
mortificano il lavoro e non garantiscono più un reddito», ha dichiarato Cia-Agricoltori italiano che lancia
una richiesta di aiuto dopo l’ennesimo crollo delle quotazioni alla Borsa Merci di Foggia, dove il prezzo del
grano duro è sceso di altre 30 euro a tonnellata.
A detta di Cia sono molte le domande: con quali criteri si decidono le quotazioni, può bastare una semplice
fattura di vendita a determinare ribassi così consistenti? Ma dai dati Ismea non risultava che la produzione
nazionale del 2022 era abbondantemente al di sotto della media storica? E i dati mondiali non parlavano di
un ripristino delle scorte nei Paesi di maggior produzione in seguito agli scarsi raccolti dovuti alle varie
calamità? Così Cia ha detto di prendere atto che non vale più la “Legge della domanda e dell’offerta”, ma
che è in corso un attacco di speculazioni.
«La situazione è difficile – ha spiegato Leonardo Moscaritolo, presidente del Gruppo di lavoro Cereali di Cia
–. Rispetto ai valori massimi raggiunti a giugno 2022, il prezzo del grano duro è sceso di quasi 200 euro a
tonnellata. Continuando così, con il calo dei prezzi all’origine e l’aumento dei costi di produzione, oltre al
possibile calo delle rese a seguito della siccità che ha colpito diversi areali, si corre il rischio che sempre più
agricoltori abbandonino la produzione cerealicola, mentre c’è una guerra in corso che impatta
pesantemente su approvvigionamenti e mercati». L’associazione ha rimarcato come la cerealicoltura ne
esca penalizzata anche dalla nuova Riforma della PAC sia dal punto di vista economico, sia sotto il profilo
amministrativo-sanzionatorio con i tanti lacci e lacciuoli che mortificano il settore. «Ecco perché – ha
aggiunto Moscaritolo – chiediamo al Governo di rafforzare gli strumenti di sostegno alla produzione come i
contratti di filiera, di ripristinare la CUN (Commissione Unica Nazionale), di incominciare a studiare un
nuovo strumento che certifichi i costi di produzione, sotto dei quali non si dovrebbe andare e di vigilare su
ogni possibile speculazione». In conclusione Cia ha ricordato che il grano duro è la prima coltura a superfici
in Italia, con circa 1,2 milioni di ettari coltivati ed è alla base di prodotti simbolo, nonché eccellenze, del
made in Italy come il pane e la pasta.
Allarme agricoltori
